Giorgia Meloni non appare minimamente scalfita nella sua determinazione a governare, e a farlo nei modi che più rispecchiano il suo temperamento: deciso, poco conciliante con le opposizioni, sempre pronta alla polemica puntuta. Tutt’altra musica suona quando calca la scena internazionale. Si è impadronita in fretta del galateo istituzionale e ha superato agevolmente gli esami a cui pensavano di sottoporla le cancellerie europee. Raffaele Fitto vice presidente esecutivo della Commissione è un “suo” risultato e a poco vale che Tajani rivendichi il merito di quella nomina ai suoi buoni uffici presso il Ppe. La Meloni vista a Bruxelles o a Berlino non è meno determinata di quella che si vede a Roma. Anche se all’estero arrotonda gli spigoli e con qualche cedimento alle buone maniere della diplomazia consegue risultati superiori a quelli che raggiunge in patria.
A dispetto delle opposizioni, sempre rumorose ma indecise sul punto d’attacco al governo, Meloni non fa una piega quando si tratta di difendere le scelte del governo sulla legge di bilancio. La questione si fa più complicata quando dall’amministrazione day by day si transita a quelle che sono da sempre considerate le architravi della maggioranza, cioè quelle riforme su cui è stata costruito il trionfo elettorale del 25 settembre 2022 e costrette, per ragioni le più diverse, a una vita stentata. La verità è che la macchina che sembrava il tritatutto in Parlamento appare oggi inceppata in alcuni punti decisivi.
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È di questi giorni lo stop all’autonomia differenziata imposto dalla sentenza della Consulta. È vero, i giudici costituzionali non hanno bocciato il provvedimento intestato al ministro Calderoli ma lo hanno talmente spolpato nelle sue parti importanti da renderlo inapplicabile senza un nuovo e più articolato intervento legislativo. Sia chiaro: le opposizioni non hanno merito alcuno in quello che accade, semmai è dalla stessa maggioranza, dalla fretta della Lega di incassare un risultato a lungo inseguito, che sono venuti gli intralci maggiori. Tajani, all’indomani della Consulta, ha ricordato agli alleati che lui li aveva avvertiti sul rischio che si correva, per esempio, trasferendo alle Regioni la competenza sul commercio estero. Viene da chiedersi per quale ragione, allora, lo stesso Tajani avrebbe votato una riforma su cui sapeva incombere il rischio se non la certezza di incostituzionalità.
Il referendum è ancora evitabile, in attesa che si pronunci la Consulta. Ma si tratta, anche in questo caso, di un altro inciampo della maggioranza e del Parlamento. Perché la Consulta attende da oltre un anno la nomina di un giudice e, fra qualche giorno, i posti vacanti diventeranno quattro con altri tre giudici a fine mandato. Le sollecitazioni del presidente Mattarella sono calate sul Parlamento e lì rimaste lettera morta. L’incapacità della maggioranza di aprire un dialogo con l’opposizione e l’opposizione scesa in trincea con un’ostilità preconcetta hanno paralizzato la più alta magistratura. Uno spettacolo che danneggia il Paese più che le forze politiche: il Parlamento accetta di autodelegittimarsi offrendo all’opinione pubblica l’immagine di un organo impotente.
La pesante battuta d’arresto sull’autonomia differenziata è destinata a trasmettere onde d’urto sulle altre riforme, dal premierato alla separazione delle carriere. Con ciò confermando il sospetto che siano state agitate in campagna elettorale come altrettante bandiere da mostrare al proprio elettorato, per essere riavvolte una volta constatato le difficoltà parlamentari.
Giorgia Meloni ha ancora frecce al suo arco. Si trova, è vero, alleati rissosi fra di loro perché la competizione fra Tajani e Salvini non sembra destinata a una tregua. La presidente del Consiglio spende molto del suo tempo a mediare in una maggioranza compatta nella quotidianità ma con qualche sintomo di stanchezza e qualche sfilacciamento di troppo sul terreno decisivo delle riforme. L’annuncio del ministro Casellati che a gennaio riprenderanno le audizioni sul premierato sembra il tentativo di riavviare il motore che appare imballato. Meloni può continuare a raccogliere successi sulla scena internazionale, si tratterà di capire se questi saranno sufficienti a colmare le battute a vuoto sulla scena nazionale.
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