“Qui è tutto gratis“. Sono queste le parole degli agenti delle forze dell’ordine in servizio a Shengjin, la città in Albania dove sorge uno dei due centri di accoglienza voluti dal governo Meloni per il trasferimento di una parte dei naufraghi soccorsi davanti le coste italiane. Le autorità hanno raccontato delle saune, delle gite turistiche a Scutari, Durazzo e Tirana, delle lunghe passeggiate, e delle serate nei locali. Tutto spesato dallo Stato italiano.
In principio, la missione prevedeva che le forse dell’ordine si occupassero dell’organizzazione e del corretto funzionamento delle strutture. Compito che però, ha avuto risvolti inaspettati dopo il duplice fallimento dei trasferimenti dei migranti a causa della violazione delle normative europee. L’hotspot di Shengjin, come il centro di trattenimento nella vicina Gjader, sono quindi rimasti vuoti, ma le autorità – ospitate all’hotel Rafaelo, un resort superlusso – sono rimaste.
Il programma televisivo albanese Piranjat ha raccolto le testimonianze degli agenti, che, parlando liberamente con due inviate, hanno raccontato la loro attuale occupazione in Albania. “Siamo venuti per lavorare, ma ci pagano per fare i turisti“, affermano mentre accompagnano le giornaliste sul lungomare della città. “C’è stato un accordo per portare qui gli immigrati, noi dobbiamo monitorare i centri, ma sono vuoti. Perdita di soldi”, continuano. Alla domanda su quale fosse il loro lavoro rispondono: “Ieri siamo stati a Durazzo, bellissima. Poi Tirana, Scutari due giorni. Paga tutto il governo italiano“. Nel resort, sottolineano, sono presenti: “Carabinieri, poliziotti e finanzieri. Non paghiamo noi, paga lo Stato italiano insieme all’Unione europea”.
I centri di accoglienza in Albania sono quindi rimasti vuoti. Ciò solleva la questione se queste strutture siano davvero necessarie, visto che non vengono utilizzate. Quali sono i reali obiettivi e le finalità di tali centri? Sono veramente pensati per l’accoglienza e l’integrazione, o piuttosto delle soluzioni temporanee e politiche che non risolvono il problema di fondo della gestione dei flussi migratori?
Centri in Albania: un progetto al limite
Sono due i centri stipulati dall’accordo tra i premier Giorgia Meloni ed Edi Rama, destinate ad ospitare migranti – uomini, non vulnerabili e provenienti da Paesi ritenuti sicuri – che si intendeva rimpatriare velocemente dopo l’esame della loro domanda di asilo. Al porto di Shengjin è stato poi istituito un hotspot per l’identificazione dei migranti soccorsi in mare da navi italiane. Secondo le disposizioni iniziali, i migranti – dopo la registrazione delle generalità – sarebbero stati trasferiti a Gjader, a circa 20 km di distanza. Qui sono stati creati tre impianti: un centro per il trattenimento dei richiedenti asilo – da 880 posti – un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr) con 144 posti e un penitenziario con 20 posti.
Il sito di Gjader, messo a disposizione dal governo albanese, era un ex impianto dell’Aeronautica militare, fortemente deteriorato. I lavori di ristrutturazione, effettuati dai militari del Genio italiano, sono stati complessi e lunghi, includendo la sistemazione delle reti idriche e fognarie e il consolidamento del terreno. Sul luogo sono stati eretti muri di cinta, installate telecamere lungo il perimetro e attuato un sistema di sicurezza interna, con giurisdizione italiana. Le forze di polizia italiane sono responsabili dell’ordine pubblico, mentre personale dell’UNHCR supervisiona il rispetto dei diritti dei rifugiati. Per le udienze di convalida del trattenimento sono previsti collegamenti in videoconferenza con il tribunale di Roma.
Il governo italiano ha impiegato i soldi statali per la costruzione e gestione dei centri, con un impegno economico che supera i 62 milioni di euro, ma la gestione dei costi è uno degli aspetti più complessi. Secondo la legge di ratifica, le spese totali ammontano a 650 milioni di euro, che comprendono una serie di voci, dalla manutenzione alle assunzioni, dalle assicurazioni alle trasferte del personale italiano. Quest’ultima voce rappresenta la parte più onerosa, con oltre 250 milioni destinati a coprire i costi per il personale. Per il noleggio della nave, la “consultazione preliminare del mercato” indetta dal Viminale prevede una spesa di massimo 13,5 milioni di euro per tre mesi.
I costi elevati e l’assenza di una reale occupazione delle strutture pongono interrogativi sull’efficacia e sulla necessità di questi centri. Se, da un lato, l’accordo tra i due paesi e gli investimenti fatti sono stati giustificati con l’idea di una gestione efficiente dei migranti, dall’altro, l’inutilizzo delle strutture e il carico economico rischiano di minare la sostenibilità del progetto.
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