Hezbollah e Israele: la tregua tiene, ma la pace è lontana

Redazione
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Il primo giorno di tregua tra Hezbollah e Israele sembra reggere, segnando una pausa cruciale in uno dei conflitti più intensi degli ultimi anni. Dalle prime luci dell’alba, le armi hanno taciuto: l’IDF (Forze di Difesa Israeliane) ha sospeso i combattimenti per concentrarsi sull’applicazione dell’accordo, mentre i miliziani filo-iraniani non hanno sparato un solo colpo. In serata, Hezbollah ha rivendicato quella che definisce una “vittoria” su Israele, mentre l’IDF ha imposto un coprifuoco nel sud del Libano, vietando l’attraversamento del fiume Litani in direzione sud.

La situazione sul terreno

Il portavoce dell’IDF ha annunciato sui social che le truppe israeliane si stanno ritirando dal Libano meridionale, seguendo le direttive del premier Netanyahu e del ministro della Difesa Israel Katz. Parallelamente, l’esercito libanese ha esortato gli abitanti delle zone meridionali a non rientrare nei loro villaggi fino al completamento del ritiro delle truppe. Beirut, Tiro e Nabatiye rimangono al momento escluse da queste restrizioni.

A Beirut, la popolazione ha colto il cessate il fuoco come un’occasione per tornare nei propri quartieri. Un video divenuto virale sui social mostra Mahdi Nasrallah, figlio del defunto leader di Hezbollah, celebrare la “vittoria” tra le macerie della sua casa a Dahyeh, simbolo delle devastazioni del conflitto.

Ritorno a casa tra speranza e distruzione

Sulle strade libanesi si sono formate lunghe code di auto cariche di persone e beni di prima necessità, mentre migliaia di residenti israeliani stanno rientrando nelle loro case nel nord del Paese. Secondo i dati ufficiali, circa 12.000 persone—pari al 20% degli evacuati—hanno già fatto ritorno, nonostante i danni ingenti a infrastrutture, fognature e strade.

L’IDF ha ora 60 giorni per completare il ritiro, mentre l’esercito libanese prenderà gradualmente il controllo del sud del Paese, sotto la supervisione di un comitato guidato dagli Stati Uniti.

Effetti politici: un possibile spiraglio per Gaza?

Gli effetti politici della tregua sono immediatamente visibili. Abu Zuhri, un funzionario di Hamas, ha espresso la speranza che l’accordo possa aprire la strada a una soluzione anche per Gaza. Nel frattempo, le milizie filo-iraniane in Iraq valutano la possibilità di cessare gli attacchi contro Israele. L’inviato americano Amos Hochstein ha sottolineato il ruolo positivo dell’Iran nell’accordo, suggerendo che Teheran potrebbe esercitare pressioni su Hamas per un cessate il fuoco più ampio.


Sul fronte diplomatico, Netanyahu affronta una sfida significativa: l’appello contro il mandato d’arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale. Il governo israeliano ha formalizzato la richiesta all’ultimo minuto, mentre l’Europa, con il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani in prima linea, ha annunciato di voler esaminare a fondo le motivazioni della Cpi. Anche il governo francese, dopo alcune incertezze, ha adottato una posizione più cauta, suscitando attenzione nei media israeliani.


Il primo giorno di tregua rappresenta una fragile speranza per una regione stremata dal conflitto. La popolazione su entrambi i lati del confine guarda con cautela al futuro, tra la voglia di ricostruire e l’incubo che tutto possa ricominciare.

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