53 anni fa Zbigniew Brzezinski, il più grande stratega in uno con Kissinger delle politiche planetarie U.S.A, pronunciò la frase che rese evidente al mondo la volontà di banche, multinazionali e finanza di sostituirsi nel governo delle nazioni alle democrazie liberali, a loro dire anacronistiche, inefficienti, dannose.
Il fenomeno nato dalle menti newyorchesi della finanza, dette vita a quello che il più famoso politologo italiano definì “liberalismo accelerato” e altri più artigianalmente “turbocapitalismo” o “capitalismo selvaggio“.
Alan Greespean dominus della finanza mondiale, interrogato su chi desiderasse come vincitore se Trump o Biden rispose che gli era indifferente. Infatti era la finanza che determinava le scelte politiche Usa. Il vecchio patriarca asseverava che già era all’opera, quella che si è chiamata postdemocrazia: istituzioni formalmente in vita, scelte e decisioni in altri luoghi e in altre mani.
Fino a non molto fa imperava un globalismo finanziario totalizzante che cresceva mediante l’assorbimento delle identità comunitarie che venivano private di sovranità e amalgamate nel globalismo. Qua e là si tentavano difese, sempre sommerse da damnatio culturale, disprezzo politico, dal pensiero unico e dal mainstream che non davano scampo. Altri cedevano senza resistenza. Altri ancora erano complici dell’opera di destrutturazione. Nel frattempo il globalismo occidentale stava subendo per eccesso di crescita quantitativa, le cosiddette “policrisi” episodi negativi multipli e concorrenti, dipendenti dalla natura stessa del globalismo finanziario. Lesioni a strutture socioeconomiche consolidate, fine del primato del lavoro e della produzione, drastica riduzione dei diritti sociali, aumento smodato di economia cartolare, necessità di presenze belliche, e di valvole di sfogo con crisi provocate e con voragini al sistema .
Il globalismo occidentale era nato anche per estendere la propria influenza sulla parte di pianeta da gregarizzare, non occidentale e in crescita quantitativa spesso furibonda. Successe come ai pifferi di montagna. Si stava ingigantendo un diverso blocco, susseguente al fallimento del reclutamento dei vari paesi, il BRICS, con ottime prospettive. Un raggruppamento delle economie mondiali emergenti formato da B.rasile R.ussia I.ndia C.ina S.udafrica a cui si sono aggiunti Egitto, Emirati Arabi, Iran e Etiopia. Scopo: economia di sistema autonoma in concorrenza con l’Occidente e dedollarizzata. Il finanziarismo, fiutato il riflusso cerca rimedi e scinde i suoi orientamenti: da una parte ritorno alla industrializzazione interna, dietro front sulle internazionalizzazioni ecumeniche, transizioni, resilienze, green deal. Suture delle crisi in atto e per primo obbiettivo sovranità totale dello stato leader. È l’America first.
Dall’altra parte scelte continuiste di politiche planetarie senza rinuncia alla leadership mondiale, difesa della politica interventista e di contrapposizione contro i concorrenti, le “forze del male”, con il sostegno pieno della cultura woke, ambientalista, resiliente, speculativa a tutto tondo.
Il nuovo scacchiere ha evidenziato questa scissione tattica ma non strategica. L’obbiettivo è lo stesso anticipato da Brzezinski. Anzi l’America first di Trump ha istituzionalizzato il governo della finanza, elevando Elon Musk a ruoli plenipotenziari di governo. Ulteriore prova che il fine è il medesimo fra Kamala e Trump, è l’idea che per suturare la ferita Ucraina il problema vada scaricato sull’Europa di Bruxelles. Si avvera un’altra previsione delle Cassandre vilipese fino a oggi. L’UE e l’adesione Nato sono funzionali alla difesa non degli interessi asseritamente comuni ma della finanza occidentale e degli USA. Agli “alleati europei” resta il cerino in mano e un destino nel grembo di altri.
Inoltre Trump utilizzerà i dazi a suo pro lasciando la sprovveduta Europa resiliente con le mutande a mezza gamba insieme alle sue utopie ambientali di cui rimarrà l’unica paladina e ancora una volta (come nel 2008) sarà la sola a pagare per l’alleato.
Di fronte alle urgenti decisioni politiche da prendere per riposizionarsi e far fronte alle nuove emergenze, in Europa si giocherella con formule e chimere schivando l’argomento. In Italia lo scontro politico è tutto in un simulacro di finanziaria già scritta a Bruxelles, in dialettiche fra le parti in campo che pare più uno scontro fra pasionarie de noantri alle assemblee studentesche di mezzo secolo fa, condito di incontri di vertice con i rappresentanti di Black Rock i nuovi padroni del mondo e Musk il neocapo del vascello.
Come Abramo, Giorgia porta la sua creatura Italia al sacrificio. La differenza è che se non sarà lei in un improvviso ritorno di resipiscenza a togliere l’Italia dall’altare sacrificale o l’ “amico” Trump non farà come Dio. La sbuzzerà senza pietà.
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