Il governo Meloni non è pronto ad arrendersi. Il protocollo Italia-Albania, dopo un primo stop dovuto ad una decisione del Tribunale di Roma, è pronto ad essere rimesso in moto. Dall’inizio della prossima settimana la Nave Libra tornerà a scandagliare le acque del mar Mediterraneo, a largo delle coste di Lampedusa, col compito di effettuare un primo screening dei migranti intercettati in mare e poi decidere quali di essi devono essere trasferiti in Italia e quali nei centri di accoglienza costruiti appositamente dal nostro Paese in Albania.
Le ultime due settimane sono state colme di novità sul fronte dell’immigrazione, a causa della controversia nata tra la legislazione italiana e quella europea in materia di Paesi sicuri. Lo scontro si è poi trasferito su un piano ben diverso, con il governo che avrebbe insinuato che parte della magistratura potesse essere stata influenzata dalle opinioni dell’opposizioni, da sempre contrarie all’apertura e alla messa in funzione dei centri albanesi. Nel mezzo della diatriba, che avrebbe spinto anche il Presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), Giuseppe Santalucia, a definire “inquieto” il quadro venutosi a creare, vi sarebbero state anche minacce di morte nei confronti di un magistrato.
Si tratta di Silvia Albano, una dei sei giudici del Tribunale di Roma che non avrebbe convalidato il trattenimento dei primi 12 migranti in territorio albanese. La corte avrebbe preso la decisione, tenendo in considerazione il diritto europeo che non ritiene Bangladesh ed Egitto, i Paesi di origine degli immigrati, come Nazioni sicure, poiché non lo sarebbero per tutte le minoranze che compongono le loro popolazioni. In seguito alla notizia, e al caso scatenato dalla furia del governo, sembrerebbe che il magistrato abbia ricevuto messaggi minatori, tanto che da ieri è stata per lei disposta un’attenta vigilanza da parte delle forze dell’ordine sia per la sua abitazione che per il suo luogo di lavoro.
Albania, il caso della Corte di Bologna
Le polemiche tra politica e magistratura si sono poi inasprite con il passare dei giorni. A seguito del rientro in Italia dei dodici migranti, il Consiglio dei ministri ha varato in data 21 ottobre un decreto legge contenente una lista di 19 Paesi sicuri, da utilizzare per lo screening sulla Nave Libra. In questo modo la norma è passata da fonte secondaria, come era il decreto ministeriale con cui finora annualmente era stato aggiornato l’elenco, a fonte primaria. La situazione a seguito di questa mossa dell’esecutivo sembrava essere tornata all’ordine, ma la calma è durata ben poco.
A pochi giorni di distanza, infatti, il Tribunale di Bologna ha deciso di rimandare alla Corte di giustizia europea il caso di un richiedente asilo bengalese, auspicando un chiarimento su due punti specifici: quali dovrebbero essere i parametri per la definizione di Paese sicuro e in che modo si debba applicare il principio del primato europeo in caso di contrasto con le normative nazionali. In sostanza, i magistrati bolognesi vorrebbero sapere in che frangente sia necessario applicare la legislazione italiana e in quale altro quella europea.
Anche in questo caso, il governo Meloni ha vissuto la questione come un vero e proprio smacco o un tentativo di rallentamento del protocollo Italia-Albania. Il Presidente del Consiglio, ospite da Bruno Vespa, avrebbe infatti criticato la decisione del Tribunale di Bologna, annunciando poi di aver ricevuto anche minacce di morte dagli scafisti, in quanto l’iniziativa dei centri di Schengjin e Gjiader si rivelerebbe piuttosto deleteria per coloro che si arricchiscono attraverso la tratta di uomini.
Santalucia: “Nulla di inadeguato nel provvedimento di Bologna“
All’interno di questa situazione, l’Anm ha cercato di riportare la moderazione e la tranquillità, evitando che il caso dei centri albanesi apra una vera e propria frattura tra la politica e le toghe. Il segretario generale del sindacato dei magistrati, Salvatore Casciaro, ha infatti più volte auspicato che “si torni a un clima di rispetto del ruolo costituzionale della giurisdizione” e che si possa porre fine ai “ripetuti ingiustificati attacchi, anche personali, ai magistrati che la esercitano“.
Il Presidente dell’Anm ha invece difeso pubblicamente i magistrati del Tribunale di Bologna, sottolineando come non vi fosse “nulla di inadeguato nel loro provvedimento, che chiede alla corte di giustizia della Ue una pronuncia sulla conformità“. Un punto di vista ben diverso da quello del governo, che però è stato sostenuto anche dai penalisti, che hanno invece posto l’accento sul fatto che il decreto “non abbia cambiato la sostanza ma abbia spostato ancora una volta in avanti la storica contesa tra veritas e auctoritas“.
© Riproduzione riservata