Si era in piena pandemia Covid e da allora sull’isola di Manhattan Chinatown e Lower East Side hanno circoscritto una microzona, ormai geograficamente ufficializzata, abitata e frequentata da personaggi controversi legati a un movimento estetico e culturale reazionario, definito Dimes Square. Appaiono come viziati intellettuali-artisti e si esprimono nel pensiero politico anti-woke. Tra sarcasmo e ambiguità, alimentano una certa audience e fanno saltare il grillo a politica e opinione pubblica. Dimes Square, una fancy Times Square che invaghisce o infastidisce.
Dal radicalismo dei democratici e dall’osannata tolleranza liberal cresce in vivaio il movimento woke. Un’ideologia dell’”en guarde!”, del guardarsi le spalle dalle ingiustizie sociali e razziali. Si parla di una protesi del Black Lives Matter del 2017 ma che si è ingobbita in una cultura invece illiberale. Tale movimento si è, infatti, ritorto contro gli stessi liberal, dividendoli, con un colpo di frusta, tra quei repubblicani definiti da Hillary Clinton “deplorables” nel 2016 e i giusti democratici che hanno sempre ragione.
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Non solo. Al contemporaneo centro sinistra americano, ad oggi presieduto di proposito da Kamala Harris, è sfuggito di mano il risentimento dei democratici oppressi dalla cancel culture di stampo woke. Quindi, i liberal che hanno subito in pieno quell’atteggiamento di colpevolizzazione tipico del politicamente corretto.
Un meccanismo di semplice legge causa-effetto: dal radicalismo woke si è generato il suo antidoto, l’anti-wokeness espresso anche dai reazionari di Manhattan. Questa sinistra lesa ha trovato poi l’appoggio di conservatori e “liberali anti“, insieme a neoliberali e marxisti che non hanno esitato ad esorcizzare il mostro woke. Difatti, ora, lo condannano per aver conquistato media, accademia e no profit, ridefinendo libertà di pensiero e d’espressione e intossicando gli spazi definiti progressisti.
Ma ormai questo innesco non si può detonare. Quindi, Dimes Square degenera tendendo a fare dell’anti la propria ragione di vita, passando da un estremismo all’altro. I liberal si prendono perciò anche il danno oltre la beffa, ossia la morale del liberalismo a stelle e strisce che si crepa sotto i loro piedi. Gli stessi liberal che hanno generato i propri nemici, sostenitori dichiari di Donald Trump, anti-palestinesi, che abbracciano armi e inneggiano alla cospirazione. Nemici reazionari che invitano Curtis Yarvin, alias il leader di destra della politica neo-reazionaria, e supportano attivamente JD Vance. Ma i liberal gettano benzina sul fuoco etichettandoli come razzisti, sessisti, antisemiti e anti-islamici nella speranza di condannarli agli occhi dell’opinione pubblica.
Così nel nome di Dasha Nekrasova si incarnano i sintomi di questo stillicidio liberal. La podcaster di Minsk è l’essenza di Dimes Square con il podcast dal tono dissacrante Red Scare, fondato con l’amica Anna Khachiyan nel 2018. Il progetto, inizialmente, era porta bandiera della dirtbag left, uno stile di politica sinistroide emerso negli Stati Uniti, che con “feroce volgarità” trasmette messaggi anticapitalisti e populisti di sinistra, in cui si critica la destra quanto la sinistra liberale e centrista. Una bandiera che sventola nel rifiuto dei toni del politicamente corretto, cultura woke e politica identitaria. E con umorismo cinico, brutale, tagliente e crudo, affronta attualità, politica, letteratura e celebrities mentre infrange rumorosamente qualsiasi barriera della sensibilità altrui.
Sta di fatto che nella provocazione e nella controversia, la trentatreenne russa ha definito in toto una sottocultura e reso idee di estrema destra una posa estetica della moda piuttosto che una sostanza politica. O almeno è questa la percezione. Perché, mentre questo andamento sorprende i liberal per l’aver preso piede sotto un’accezione moda, il sostenere idee d’estrema destra soggioga la loro censura.
C’è poi, nella figura “stimolante” di Dasha Nekrasova e di Red Scare, l’impersonificazione di molti che non avevano mai pensato di potersi esprimere liberamente in certe declinazioni. Dimes Square è una tendenza ambigua che assottiglia fino ad eliminarlo il confine tra finzione e reale adesione a determinate ideologie. Inoltre, riscopre anche concetti tradizionali alla ricerca di una spiritualità perduta a causa della superficialità degli entusiasmi politici e del vivere senza un fine ultimo.
Sia chiaro, Dimes Square è niente più che un microquartiere in cui si è sviluppata una sottocultura che potrebbe morire a breve in fanatismo e che per ora non sta lasciando segni. Ma è anche un tarlo che può rodere con l’inganno della sua apparenza da movimento estetico e culturale artificioso e non sarà di certo l’unico caso esistente. Semplice gusto di sfidare i limiti o far credere che sia tale per evitare lo scagionamento della necessità di reagire? Che sia invece l’emblema di uno stato intellettuale in cui gli intenti sinceri ed ironici diventano confusi per la mancanza di consapevolezza di se stessi? En guarde alle imminenti elezioni presidenziali.
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