Turetta confessa la premeditazione: “Volevo rapire e uccidere Giulia”

Fuori dall'aula, Gino Cecchettin è stato assalito dai cronisti e, visibilmente provato, ha cercato di spiegare quali fossero le sue sensazioni ed impressioni. "Il punto del processo è che abbiamo capito chi è Filippo Turetta"

Redazione
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A poco meno di un anno dal brutale omicidio di Giulia Cecchettin, oggi Filippo Turetta è seduto al banco degli imputati della Corte d’Assise di Venezia, pronto a rispondere alle domande dell’accusa e a ricostruire un quadro il più possibile chiaro di quanto è avvenuto quel tremendo 11 novembre, giorno in cui la 21enne è stata uccisa, accoltellata a morte da un uomo che non aveva accettato la fine della loro relazione. I “non ricordo” sono tanti e Turetta sembra fare fatica a ricostruire nella sua mente e poi a spiegare qual è la linea cronologica degli eventi che si sono susseguiti dal 7 novembre fino al giorno del suo arresto.

Il momento cardine della deposizione, però, riguarda l’ammissione da parte dell’imputato della premeditazione del femminicidio. I coltelli, lo scotch, il badile e tutti gli altri oggetti rinvenuti nel veicolo di Turetta sono stati da questo preparati nella consapevolezza che gli sarebbero stati utili nel momento in cui avrebbe aggredito Giulia. Turetta, nel corso dell’intera requisitoria, ha tenuto gli occhi fissi sul pavimento e non ha mai pronunciato il nome della sua vittima. “Giulia” è un nome che viene pronunciato solo dai legali della parte civile e Turetta decide di non ripeterlo mai.

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Giulia Cecchettin

In aula è presente Gino Cecchettin, padre della vittima. È da solo perché sua figlia Elena, sorella maggiore di Giulia, ha deciso di non recarsi in aula per salvaguardare la sua salute mentale. La ragazza ha ammesso di aver subito conseguenze fisiche e psicologiche a seguito dell’omicidio di sua sorella e di non essere pronta a rivivere nuovamente il dolore di quell’11 novembre. Gino Cecchettin, invece, ha seguito con attenzione le dichiarazioni di Turetta, fissandolo dritto in volto per l’intera durata dell’udienza. L’imputato, però, non ha mai ricambiato il suo sguardo.

Gino Cecchettin: “Io so bene che tipo di uomo è Turetta

Fuori dall’aula, Gino Cecchettin è stato assalito dai cronisti e, visibilmente provato, ha cercato di spiegare quali fossero le sue sensazioni ed impressioni. “Il punto del processo è che abbiamo capito chi è Filippo Turetta” ha sostenuto il papà della vittima, che ha quindi deciso di abbandonare il processo. “Adesso il suo avvocato vuole capirne di più, ma per me è chiarissimo. Quello che emerge oggi è che la vita del prossimo è una cosa sacra, e non bisogna entrare nel merito della vita degli altri” ha infatti dichiarato Gino Cecchettin.

Turetta: “Giorni prima ho pensato di toglierle la vita

Filippo Turetta ha ammesso di aver iniziato a pensare all’omicidio di Giulia Cecchettin già qualche giorno prima dell’11 novembre. L’imputato, a seguito della sua carcerazione, avrebbe iniziato a scrivere delle memorie, contenenti appunto la ricostruzione di quanto avvenuto nei giorni precedenti e in quelli successivi all’assassinio. Sembrerebbe dunque che il giovane il 7 novembre abbia composto una lista di oggetti da dove inserire nella sua automobile, quelli che sono poi stati ritrovati nel bagagliaio.

Quella sera scrivendo quella lista ho ipotizzato questo piano, questa cosa, di stare un po’ insieme e di farle del male” ha dichiarato Turetta in aula, sostenendo che quella lista fosse a lui necessaria “per sfogarsi“, perché “ero arrabbiato, avevo tanti pensieri, provavo un risentimento che avessimo ancora litigato, che fosse un bruttissimo  periodo, che io volessi tornare insieme“.

L’imputato ha quindi sostenuto di aver anche ipotizzato il rapimento di Giulia Cecchettin, affinché questa fosse costretta a rimanere insieme a lui per un altro periodo della sua vita. “Ho pensato di rapirla, e anche di toglierle la vita, ero confuso, io volevo stare ancora assieme a lei” ha dichiarato, per poi confessare di aver raccontato una serie di fatti non veri nel corso del primo interrogatorio.

Turetta ha infatti ammesso di aver mentito quando ha sostenuto di fronte ai magistrati che i coltelli e lo scotch nella sua automobile fossero necessari rispettivamente per togliersi la vita e per appendere i festoni in occasione della laurea di Giulia. “Ho raccontato delle bugie e di questo mi dispiace” ha quindi ammesso l’imputato, prima di chiarire nuovamente che tali arnesi fossero stati inseriti nel bagagliaio nell’ipotesi dell’omicidio di Giulia. “I coltelli non li ho messi per suicidarmi, come ho detto nel primo interrogatorio, ma sempre al fine di eventualmente aggredirla” è l’ammissione di Turetta, che però ha dichiarato di non ricordare perché abbia scelto di portarne tre invece di uno solo.

Turetta: “L’ho uccisa perché volevo tornasse con me

Incalzato sulle motivazioni del femminicidio, Turetta ha ammesso di aver ucciso Giulia Cecchettin perché questa non aveva intenzione di avere ancora una relazione con lui. “Volevo tornare insieme a lei, avevo rabbia perché lei non voleva” ha dichiarato, sostenendo poi di aver provato una forte sofferenza data dalla fine della relazione. “Volevo che il nostro destino fosse lo stesso per entrambi e quindi… io penso sia questa la verità” ha continuato nel corso della requisitoria, per poi aggiungere: “In macchina abbiamo litigato perché volevo tornare insieme, così come avevo fatto nei giorni precedenti, anche in chat“.

L’imputato ha quindi ammesso di aver temuto di non poter più avere contatti con la vittima e di aver “perso il rapporto per sempre“. Tali consapevolezze avrebbero fatto sorgere in lui una sorta di risentimento nei confronti di Giulia Cecchettin, la quale avrebbe più volte rifiutato i suoi tentativi di tornare insieme. “È successo che eravamo in macchina che stavamo discutendo di questa lista di motivi per cui mi aveva lasciato, parlando di uno di questi motivi ero nervosissimo, le ho fatto così sulla coscia…non volevo essere violento, non sono riuscito a trattenermi” ha poi confessato Turetta, raccontando del momento esatto in cui l’aggressione di Giulia ha avuto inizio.

L’imputato sostiene di non avere i ricordi chiari su quanto accaduto ma di ricordare “come un flashback” un colpo alla coscia, a cui avrebbero poi fatto seguito gli altri 74. “Quando è uscita dalla macchina io ero arrabbiatissimo, non volevo che finisse cosi, ho preso uno dei coltelli e sono uscito fuori di corsa per fermarla” ha spiegato il giovane, raccontando di aver strattonato Giulia per un braccio, facendola cadere e facendole sbattere la testa sull’asfalto.

Deve esserci stato un momento in cui nel tragitto lei si muoveva e magari volevo farla stare ferma. Mi sono girato e l’ho colpita, una volta alla coscia, anche se non guardavo bene dove colpivo, un po’ a caso” ha poi aggiunto parlando del tragitto in auto verso il luogo in cui avrebbe abbandonato il cadavere della vittima. Parlando poi del momento in cui ha lasciato il corpo in un area boschiva, ha raccontato di aver deciso di coprirlo con dei sacchi perché “non volevo che si vedessero le brutte ferite, era in cattive condizioni e volevo evitarle quel momento e di vedere la situazione“.

A seguito del racconto di Turetta l’aula si è fermata per una pausa l’avvocato di parte civile per Elena Cecchettin ha sfruttato il momento per dichiarare: “Turetta ha punito Giulia perché non voleva tornare con lui. Si tratta di un omicidio premeditato, dove un uomo senza empatia ha colpito. Purtroppo gli uomini senza empatia sono tutti uguali“.

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