Sono Giorgia, la migliore nemica di Meloni

Dagli elettori ha avuto un consenso ampio come Berlusconi al tempo che fu, addirittura cresciuto dopo due anni di governo. Non ha avuto bisogno di tracannare moijto, come quel suo vice, e chiedere i pieni poteri. Dispone del potere che la Costituzione attribuisce al presidente del Consiglio, e lo esercita alla sua maniera. L’evanescenza delle opposizioni, la loro incapacità di mordere l’agenda del quotidiano come pure la loro noiosa sfrontatezza nel difendere quello che di indifendibile c’è nella magistratura: tutto questo dovrebbe concedere a ”Giorgia“ una serenità olimpica. Invece, no. Entra a palazzo Chigi come Winston Churchill entrava nella War room. Come il colonnello Drogo di Buzzati, si consuma nell’attesa dei Tartari ma non vede i Tartari nel frattempo cresciuti in casa. Solo Giorgia può fare danni a Meloni

Roberto Guerriero
6 Min di lettura

Ha fatto la paternale (non sia mai che le si attribuisca una maternale!) a Marco Patarnello, il magistrato che vorrebbe sbianchettare il voto popolare. Ha negato di aver mai parlato di complotto sulla vicenda degli immigrati rimpatriati dall’Albania in Italia in attesa di essere rimpatriati dall’Italia per chissà dove. Giorgia Meloni si è concessa ieri una pausa, nel senso che ha strappato il copione che la vuole nelle vesti di perenne vittima di complotti, e ha usato la frusta della politica per addomesticare avversari riottosi, a corto di argomenti che non siano la difesa dell’indipendenza della magistratura minacciata non si sa bene se dal presidente La Russa, dal ministro Nordio e dal suo proposito di separare le carriere mettendo di qua i magistrati inquirenti e di là i magistrati giudicanti.

Meloni si è irrobustita come meglio non avrebbe immaginato. Dopo due anni e una decina di vicende della sua corte, farcite con qualche spruzzo di imbarazzo e più abbondante ridicolo, “Giorgia” svetta nei sondaggi, irraggiungibile dai suoi avversari-alleati e dagli alleati-avversari. Perché in fondo le cose si sono messe bene, sia per suo merito, sia, soprattutto per lo straordinario impegno messo dai suoi avversari per esaltare le sue doti di incassatrice. Solo di recente Elly Schlein ha trovato il tempo di fare opposizione parlando di cose comprensibili al lettore della metropolitana, per dire la sanità pubblica alla deriva, l’istruzione che le va appresso (il taglio di 5600 professori è un brutto segnale) e il salario minimo. Per parlare di tutto questo, Schlein ha preso fiato nell’inseguimento a quel tribuno del popolo con la pochette che le sta facendo vedere i sorci verdi.

Poca roba e molta aria fritta. Talché Giorgia&Meloni dovrebbe mettersi serena e mulinare gioco come ha mostrato di saper fare. Da dove nasce, si chiedono quelli che non la venerano ma la guardano con curioso rispetto, tanta irrequietezza? Certo, i “fratelli magici”, diciamo pure i Guardiani della rivoluzione, con i loro occhi di bue sempre accesi a scrutare nell’oscurità che circonda palazzo Chigi, non stanno lì a trasmettere serenità. Se il loro compito è annusare l’aria, percepire e sventare un istante prima anche solo l’ombra di un complotto, devono in qualche modo legittimare il loro ruolo, l’incarico e le prebende annesse e trovare da qualche parte dei complottisti.

Perché rifugiarsi nella logica del complotto potendo disporre di tutte le leve per governare a proprio gradimento e con gradimento del pubblico pagante (facile qui l’ironia). Passando il tempo, e un po’ diradandosi la nebbia, affiora il dubbio che lo spettro ricorrente del complotto sia il paravento utile e redditizio per occultare la povertà del dato politico che circonda Meloni. Se un servo sciocco, capace di combinarne più di Carlo in Francia, spara a un piede durante la festa di Capodanno o il ministro della Cultura si concede al selfie in casa dell’amante e in compagnia della di lei mamma, a chi non verrebbe il sospetto che dietro tutto questo ci sia la mano invisibile della stupidità umana, cioè del più potente complottista mai visto all’opera nella millenaria storia dell’umanità au pouvoir?

Una domanda tira l’altra, proprio come le ciliegie. Giorgia diffida di chi non è parte del suo mondo da sempre, preferisce affidarsi a chi ne fa parte salvo scoprire che una volta arrivati là si rifiutano di capire che “vuolsi così colà dove si puote/ciò che si vuole, e più non dimandare”. Detto altrimenti, non hanno capito che una volta messe le mani sulle leve di comando devono andare spediti, evitare di domandare e dare risposte quanto più appropriate. Il bignami del potere, questo Meloni ha dimenticato di distribuire ai suoi prima di salire le scale di palazzo Chigi. Un bignamino, una sinossi agile in cui spiegare perché questo sì e quello no, perché conviene questo e perché è disdicevole quello. Cose sapute e risapute dai grandi vecchi che la sinistra al potere l’hanno portata già pronta e studiata.

Meglio un asino fidato di casa, che un leone infido e vorace cresciuti chissà dove. Questo è il dilemma irrisolto del più stabile presidente del Consiglio degli ultimi 40 anni. Si affaccia dalla finestra, vede il mondo che affolla strade e piazze, ne ascolta il chiasso e ne percepisce la vitalità esuberante che tanto l’attrae al punto da volere invitare qualcuno di quei passanti. Vai a fidarti però, si dice Giorgia. Richiude la finestra, si gira e lancia uno sguardo carico di mestizia e di rabbia su quei camerati fidati che circondano il tavolo. Fidati? Mah …

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