Bill Elliott è stato uno straordinario spettacolo teatrale. È rimasto in cartellone al Victoria Palace Theatre, nel West End di Londra, per alcuni anni (ho potuto ammirarlo, nel luglio 2015), sempre riscuotendo un grande successo di critica e di pubblico. La stessa cosa non può dirsi per lo spettacolo, lo scontro politica-magistratura, in cartellone in Italia da più lunga data, cioè dal 1992, con grande successo di critica, ma scarsissimo di pubblico. Ieri era Berlusconi, con le iniziative di legge per sistemare qualche pendenza se non proprio prevenirla. Oggi, in assenza di interessi personali della presidente Meloni o di altri protagonisti della politica, lo scontro si svolge a tutto campo e assume una dimensione tutta e solo politica.
Il copione è sempre lo stesso, identici sono gli schieramenti, diversi, per ragioni anagrafiche, sono i protagonisti. La sinistra difende l’operato del magistrato che ha annullato la decisione del governo di trasferire nel Cpr albanese 16 migranti provenienti dall’Egitto e dal Bangladesh, poiché non era possibile verificare che si tratti di Paesi “sicuri” per l’eventuale rimpatrio. La destra attacca la magistratura, colpevole, ha spiegato il presidente del Senato, Ignazio La Russa, di aver invaso lo spazio delle decisioni autonome di cui solo la politica è titolare. La decisione del magistrato romano è stata possibile poiché la norma che autorizzava il trasferimento degli immigrati era un decreto interministeriale, cioè un atto amministrativo del governo privo della forza di legge. Il governo ha pensato bene di procedere riscrivendo la norma con un decreto legge, un decreto, però, che si limita ad elencare i Paesi “sicuri” per quegli immigrati rimpatriandi che nulla avrebbero da temere una volta a casa.
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Messa così, la questione sembra aver trovato un punto di caduta. Rimane intatta, invece, in tutta la sua complessità. Per due ragioni. Il magistrato di Roma, annullando la decisione del governo, avrebbe ottemperato a una direttiva della Corte di giustizia europea che ritiene la materia di sua “esclusiva” competenza sulla base del principio che vuole il diritto comunitario sovraordinato rispetto a quello nazionale (e sullo sfondo si intravvede il conflitto fra sovranismo ed europeismo). La seconda ragione per cui la questione è irrisolta è che il decreto del governo, molto cauto nella sua formulazione finale, si limita ad elencare i 16 Paesi ritenuti sicuri ma si astiene dall’affermare che quella sicurezza sia al riparo da eventuali verifiche della magistratura. Viene, in qualche misura, riconosciuto il confine fra la legittima iniziativa politica dell’esecutivo e l’autonoma iniziativa del magistrato di verificare la sussistenza delle condizioni di sicurezza dei Paesi in cui dovrebbero tornare i rimpatriandi.
Per il decreto interministeriale non è stata necessaria la firma del presidente della Repubblica. Diverso è il caso del decreto-legge approvato ieri dal Consiglio dei ministri, per il quale è necessaria la firma di Sergio Mattarella. Appare un esercizio ozioso chiedersi se Mattarella apporrà la sua firma. Il decreto è stato preceduto da una intensa interlocuzione fra l’ufficio giuridico di palazzo Chigi e quello del Quirinale. La sua firma però non basterà a comporre il conflitto in atto, dietro il quale si intravvede la vera posta in gioco: la norma sulla separazione delle carriere. È un punto qualificante nell’azione dell’esecutivo, del resto è parte del programma con cui il centrodestra si è presentato agli elettori. Si tratta anche dello spettro contro cui combattono parti importanti della magistratura, e contro il quale è massima la coesione fra Pd-M5S-Avs. Anche se nel Pd, quello precedente alla gestione di Elly Schlein, non poche erano le voci favorevoli alla separazione delle carriere.
Si tratta ora di capire se lo scontro sulla vicenda degli immigrati sarà il pretesto giusto per il governo per affrontare la riforma della giustizia o se, al contrario, la magistratura insisterà nella rivendicazione della sua autonomia non riconoscendo le disposizioni del decreto e dunque la facoltà del governo di ricollocare in Albania gli immigrati raccolti dalla Guardia costiera in acque internazionali.
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