Immigrati in Albania? Perché sì, perché no

Cade nel vuoto l’appello del presidente Mattarella a governo e opposizione perché evitino lo scontro sulla magistratura, finita nel mirino di palazzo Chigi. Sullo sfondo si intravvede un conflitto di giurisdizione dell’Italia con la Corte di giustizia europea che rivendica la competenza esclusiva di stabilire se un Paese sicuro per il rimpastriando

Roberto Guerriero
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Nelle stesse ore di mercoledì 16 ottobre si sono accavallate due circostanze in apparenza molto diverse e geograficamente abbastanza distanti. Il premier albanese, Edi Rama, era a Bruxelles con una delegazione del governo per l’apertura formale del negoziato di adesione all’Unione europea. Le procedure sono abbastanza complesse e lunghe. Per brevità, accenniamo al fatto che mercoledì scorso è stato esaminato il primo pacchetto che riguarda gli impegni che l’Albania deve assumere per accelerare la conformità delle sue leggi, delle norme costituzionali e dell’ordinamento giudiziario agli standard previsti dall’Ue.

Nelle stesse ore, i primi 12 immigrati trasferiti nel Cpr voluto da Giorgia Meloni d’intesa con l’omologo Edi Rama sul suolo albanese salivano a bordo della motonave che doveva ricondurli in Italia. Prima di loro, altri 4 immigrati erano tornati in Italia. Erano forse sgraditi in Albania? No, per la semplice ragione che un magistrato della sezione immigrazione della Procura di Roma aveva sentenziato l’illegittimità della decisione del governo di trasferire in Albania quegli immigrati poiché, in caso di rimpatrio, non era stato accertato che provenissero da Paesi sicuri.

Le critiche alla decisione della Procura sono state veloci come fulmini. Non sono mancate parole ruvide, da una parte e dall’altra. Come pure non è mancato il solito magistrato che crede di essere la reincarnazione di Che Guevara e affida a una email il suo grido di battaglia contro Meloni e il governo di destra, incaricandosi di stabilire se il governo italiano sia sicuro o meno, al pari dei governi dei Paesi da cui provengono gli immigrati.

Il fronte di guerra che si è aperto non poteva lasciare indifferente il custode sempre vigile della nostra Costituzione. Il presidente Mattarella si è ben guardato dal pronunciarsi sulla vicenda, anzi le sue parole sono sembrate più rivolte al ritardo del Parlamento nell’ elezione del giudice costituzionale. Ma tutto, dal giudice costituzionale alla vicenda degli immigrati ricollocati in Albania, è riassunto nel richiamo di Mattarella alle forze politiche affinché evitino di trascinare le istituzioni nelle loro polemiche.

Il conflitto di attribuzione del potere giurisdizionale non è, come si può pensare, fra Meloni e la magistratura italiana. Esso investe direttamente i rapporti fra il governo italiano e la Corte di Giustizia europea perché è dall’organismo brussellese che viene la copertura piena all’operato della procura di Roma.

La presidente Meloni rivendica, a ragione, il potere dell’esecutivo italiano di elencare i Paesi ritenuti, a giudizio dello stesso governo, sicuri per l’eventuale rimpatrio degli immigrati non aventi diritto di asilo. La magistratura ordinaria, applicando le norme della Corte di giustizia europea, ritiene suo dovere intervenire in mancanza di norme precise che consentano di definire “sicuro” il Paese del rimpatriando.

Non si vedono qui motivi per stabilire torti e ragioni. La questione è a tal punto decisiva e rilevante da mettere perfino in discussione la definizione di diritto e quali le fonti da cui scaturisce. Non si può negare a un governo il diritto, che è insieme un dovere, di stabilire le norme in base alle quali definire “sicuro” un altro Stato. Come negare, però, che sia un organo terzo, in questo caso la magistratura, a verificare che quelle norme siano davvero rispettate e rendono possibile il rimpatrio in modo sicuro?

L’apertura del Cpr in Albania è stata a suo tempo duramente contestata dall’opposizione e da larghi strati della popolazione. Ciò non ha impedito che il centro venisse realizzato e il “modello Albania” venisse apertamente apprezzato da altri leader europei. E si capisce perché: spedendo in Albania gli immigrati, gli altri Paesi dell’Unione non sentono più ripetersi la solfa della ridistribuzione.

È legittima la decisione di aprire il Cpr in Albania? Ma chi è che stabilisce la legittimità della decisione presa da un governo? Non può essere il governo stesso, questo è certo. L’Albania e il suo presidente Edi Rama sono impegnati ad accelerare le riforme chieste dall’Europa per adeguare il Paese agli standard dell’Unione. Che tipo di impatto potrebbe mai avere la vicenda del Cpr di Gadijar nell’adeguamento della giurisdizione albanese a quella dell’Unione?

Sono domande che interrogano tutti, non solo l’Italia e la presidente Meloni. Meloni è stata costretta a inventarsi la “soluzione albanese” per aggirare il muro di no alla redistribuzione degli immigrati costruito dai partner europei. Gli stessi vorrebbero ora sanzionare l’Italia per il Cpr albanese. Un’ultima domanda: quando la Corte di giustizia europea, così solerte con l’Italia, avrà la grazia di sanzionare i Paesi che rifiutano la redistribuzione degli immigrati?

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