Albania, pronti i centri per migranti dopo mesi di ritardi: cosa sono e come funzionano

Questo progetto fa parte di un accordo tra il primo ministro italiano Giorgia Meloni e quello albanese Edi Rama. Le strutture includono un centro di trattenimento per richiedenti asilo (880 posti), un Centro per il Rimpatrio (Cpr) con 144 posti, e un piccolo penitenziario da 20 posti

Redazione
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Dopo cinque mesi di ritardo rispetto alla data prevista, i centri per migranti in Albania sono finalmente pronti. I lavori, che hanno subito rallentamenti a causa di difficoltà tecniche, hanno completato uno dei due siti principali, quello di Gjader, solo ieri. L’area è stata consegnata al Ministero dell’Interno italiano, dopo lunghe operazioni di urbanizzazione, e le strutture saranno operative entro una settimana per accogliere i primi migranti da sottoporre a procedure accelerate di frontiera.

Questo progetto fa parte di un accordo tra il primo ministro italiano Giorgia Meloni e quello albanese Edi Rama. Le strutture sono state create per ospitare migranti di sesso maschile, non vulnerabili, provenienti da Paesi considerati sicuri, con l’obiettivo di esaminare rapidamente le loro richieste di asilo e, in caso di rigetto, procedere con il rimpatrio. Il sito principale di Gjader, ex base dell’aeronautica albanese, è stato profondamente ristrutturato dai militari italiani con la costruzione di infrastrutture idriche e fognarie, oltre a misure di sicurezza come telecamere di sorveglianza e recinzioni. Le strutture includono un centro di trattenimento per richiedenti asilo (880 posti), un Centro per il Rimpatrio (Cpr) con 144 posti, e un piccolo penitenziario da 20 posti.

Al porto di Schengjin è stato inoltre allestito un hotspot per l’identificazione dei migranti salvati in mare da navi italiane. Dopo l’identificazione, i migranti verranno trasferiti a Gjader. Le richieste di asilo verranno processate entro quattro settimane, e le udienze di convalida del trattenimento si svolgeranno in collegamento video con il tribunale di Roma.

Mentre si avviano i preparativi per accogliere i migranti, cresce l’interesse europeo per questo modello. Il ministro dell’Interno italiano, Matteo Piantedosi, ha dichiarato durante il recente incontro del G7 che 15 Paesi dell’Unione Europea hanno chiesto alla Commissione di considerare attentamente il “modello italiano”, definendolo differente da quello inglese legato al Ruanda.

Tuttavia, non mancano le sfide legali. Il decreto Piantedosi sui soccorsi in mare, che include il fermo amministrativo delle navi delle ONG, è stato portato all’attenzione della Corte costituzionale. La giudice Roberta Marra del tribunale di Brindisi ha evidenziato possibili profili di incostituzionalità, in particolare sulle norme che prevedono il fermo automatico delle navi. Il caso riguarda la Ocean Viking, bloccata nel febbraio scorso, e potrebbe aprire un dibattito sul futuro delle operazioni di salvataggio in mare e sulle politiche migratorie italiane.

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