Noemi Di Segni, la presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, è stata intervistata dal Corriere della Sera, a cui ha parlato dell’anniversario del 7 ottobre, giorno in cui è scoppiata la guerra tra Israele e Hamas, e del crescente antisemitismo registrato in Italia dal Censis. In un nuovo studio, l’istituto di ricerca ha infatti calcolato che gli episodi antisemiti sono triplicati da ottobre 2023 a marzo 2024.
Le riflessioni di Di Segni
Di Segni ha espresso le sue riflessioni sulla situazione che si sta creando all’interno degli ambienti dell’istruzione riguardo alla crisi in Medio Oriente: “Sappiamo cosa sta accadendo nei licei e nelle università italiane: quale sia il racconto su Israele, l’antisemitismo crescente, gli incitamenti all’odio e alla violenza”. Per la presidente si tratta di un modo per orientare le coscienze, “che paga, finanzia, indottrina e recluta, che usa i canali del fondamentalismo, gridando al dolore e al male”.
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Ha dichiarato di vedere “tante intelligenze” che disquisiscono su ciò che sta accadendo senza una minima conoscenza riguardo i luoghi e il contesti, utilizzando slogan che la presidente ritiene assurdi. “E vedo anche il mondo della marginalità dei centri sociali, che si inserisce in un tentativo di destabilizzazione che non ha nulla a che fare con i palestinesi” ha aggiunto.
Di Segni ha riflettuto quindi sui dati allarmanti che mostrano una rinnovata crescita dell’antisemitismo in Italia e ha dichiarato che la cosa peggiore è “il ribaltamento della verità: non vedere che il vero pericolo per il mondo è l’Iran, invece lo si individua in Israele dal quale ci si aspetta ciò che ad altri non viene richiesto”. Ha aggiunto infatti che nelle conferenze internazionali si condanna sempre e solo l’azione dello Stato israeliano, con continue risoluzioni, “accuse che non vengono contestate ad altri”.
La presidente ha sottolineato poi la tendenza che si sta diffondendo di prendere in prestito il linguaggio della Shoah per utilizzarlo contro lo stesso Israele “semplificando tutto, senza nessuna indagine sulla reale situazione che riguarda la vicenda palestinese”. E questa semplificazione è essa stessa una forma di antisemitismo che travolge tutti gli ebrei del mondo, compresi quelli che vivono in Italia. Ed essendo gli ebrei stanziati nel nostro paesi dei cittadini italiani, questa situazione dovrebbe sconvolgere tutta la società.
Infine le è stato fatto notare che anche in Israele ci sono delle manifestazioni per contestare il governo di Netanyahu, quindi non è solo un fenomeno che si verifica in Italia o in altri paesi dell’Occidente. E la presidente delle comunità ebraiche ha risposto spiegando che la società israeliana è ormai messa in ginocchio dalla guerra e c’è “una dialettica polarizzata su molte tematiche, per prima quella degli ostaggi”.
Ha sottolineato che è uno stato “animato e democratico”, ma che però non c’è una sua delegittimazione, quindi le proteste sono altro rispetto a considerare il premier come “l’uomo che decide le sorti del mondo premendo un bottone, o il simbolo di un intero popolo che vuole uccidere i bambini e desidera la guerra a tutti i costi”.
Di Segni nell’anniversario del 7 ottobre a Roma
Ieri Di Segni è intervenuta nella cerimonia al Tempio Maggiore di Roma per ricordare la strage del 7 ottobre e ha dichiarato che i presenti sono giunti insieme “per condividere timore ed ansia per il futuro che accompagnano questi durissimi mesi”. Un futuro incerto sia per la regione coinvolta nella guerra, sia per l’Europa e l’Italia “in cui viviamo immersi in un faticoso confronto quotidiano, con un crescente antisemitismo multiforme, portando sulle spalle quello di secoli e secoli”.
Ha parlato di una ferita che appartiene a un intero popolo che “ha sempre desiderato ispirare il proprio agire a quell’imperativo di vita che ci ha trasmesso per millenni la nostra fede”. Ha ricordato l’inno di Israele “Hatikva”, che parla della speranza di vivere come popolo libero nel proprio Stato.
La speranza “di essere un popolo che vive accanto agli altri – ciascuno con la sua fede – in Israele e qui nelle nostre Comunità. Vivi e vitali come oggi anche se feriti”. Ha poi chiesto di aiutare a proteggere la cultura delle libertà voluta dalla costituzione e dalla carta europea, “tradite nei presidi internazionali del dopoguerra, abusate da chi desidera destabilizzare lo stato di diritto”. Mentre ha ringraziato chi da sempre è rimasto coerente.
Ha concluso infine con delle immagini di quotidianità che non sembra ormai più scontata, augurandosi che gli israeliani possano avere la forza per ricostruire i villaggi, curare le ferite, “sostituire a quelle immagini del 7 ottobre quelle di una danza spensierata di giovani, di un letto caldo e sicuro per i nostri piccini e anziani, di un orto che di nuovo promette frutti”. La speranza è che tutti i 101 ostaggi ostaggi vengano liberati, che torni la sicurezza e si rafforzi la fiducia nell’altro. E per lei “sarebbe già questa una pace”.
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