“Noi vogliamo aiutare l’Ucraina a difendersi, ma non vogliamo che in nessun modo il nostro aiuto all’Ucraina possa trasformarsi in una guerra contro la Russia” il ministro degli Esteri Antonio Tajani continua a ripetere da mesi questo concetto, quasi come un mantra. L’Italia non può rimuovere il veto sull’utilizzo delle armi in territorio russo perché teme che questa mossa possa essere percepita come un allargamento del conflitto, ovvero quell’escalation tanto temuta dai governo dell’Occidente.
Così, nonostante le esortazioni del segretario della Nato uscente Jens Stoltenberg e dell’Alto rappresentante dell’Ue Josep Borrel, il nostro Paese non si muove dalla sua posizione e continua a vietare a Kiev le sue richieste. Il ruolo dell’Italia nel conflitto russo ucraino, quindi, almeno per il momento rimarrà a livello difensivo. “Continueremo a sostenere l’Ucraina, anche inviando armi per tutto il tempo necessario – ha infatti dichiarato il vicepremier forzista – nella consapevolezza che difendere l’Ucraina oggi significa difendere i confini delle democrazie di tutta l’Europa“.
Difendere l’Ucraina, però, non equivale ad attaccare direttamente la Russia e da questa convinzione Antonio Tajani non ha intenzione di discostarsi. Allo stesso modo, il ministro degli Esteri ha le idee chiare su quanto sta avvenendo in Medio Oriente, dove dal suo punto di vista si sta iniziando a confondere “l’aggredito con l’aggressore” e dove il senso del conflitto sembrerebbe essersi persone, nel mare delle migliaia di innocenti che sono morti dallo scorso 7 ottobre.
Tajani: “Non siamo pacifisti ipocriti“
Il legame che tiene insieme Italia e Ucraina potrebbe sembrare paradossale, visto l’interesse del nostro Paese a continuare ad inviare armi a Kiev senza però permettere alle sue truppe di utilizzarle in territorio nemico. Antonio Tajani è convinto che questa sia l’unica strada percorribile perché “concedere di usare i nostri armamenti per colpire la Russia significherebbe anche concedere di utilizzarli non solo per colpire obiettivi militari al confine con l’Ucraina ma anche per colpire obiettivi diversi, come potrebbe essere la stessa Mosca“.
Un pericolo che l’Italia vorrebbe evitare a tutti costi, pur rischiando di incorrere in critiche da parte di altre Nazioni. “Ci sono paesi che le armi non le vogliono inviare come l’Ungheria, e ci sono paesi, come il nostro, che hanno scelto di inviare armi ponendo una condizione” ha dichiarato il vicepremier, sostenendo: “Non siamo pacifisti ipocriti, sappiamo che per difendere la pace serve armare chi si difende, non solo sventolare bandiere bianche, ma sappiamo anche che per difendere la pace occorre tenere aperta una finestra di dialogo ed è quello che proveremo a fare“.
La speranza, infatti, è che nei prossimi mesi si riesca ad organizzare “quella che potrebbe essere una svolta per il conflitto in Ucraina“, ovvero una conferenza di pace in Arabia Saudita, a cui possano partecipare anche Russia e Cina, in modo da costruire un tavolo negoziale che sia realmente efficace “per cercare di arrivare a un cessate il fuoco, che ha la priorità per il governo italiano“. Per quanto riguarda il rimpasto di governo avvenuto a Kiev, invece, Tajani non è sembrato particolarmente sorpreso: “Nulla di drammatico e di diverso rispetto a quanto ampiamente atteso da tempo, e lo stesso presidente Zelensky aveva annunciato prima dell’estate che avrebbe fatto un ampio rimpasto“.
Tajani: “Netanyahu deve lavorare per una tregua“
Il leader di Forza Italia continua ad esortare le parti in gioco a giungere ad un accordo per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Tajani ha voluto sottolineare la sua vicinanza al popolo di Israele, ma allo stesso ha voluto esortare il suo primo ministro, Benjamin Netanyahu, a porre fine al conflitto perché “ci sono troppi morti, ci sono troppi palestinesi uccisi, non si vedono un’uscita e una direzione possibili“.
Per questo, secondo il ministro degli Esteri è necessario che “la comunità internazionale punti i suoi sforzi per chiedere al premier israeliano di lavorare per una tregua, un cessate il fuoco perché non si può più aspettare“. Gli accordi, però, secondo il vicepremier dovrebbero sempre tenere in considerazione chi è l’aggressore e chi è l’aggredito così che si “possano stabilire le coordinate del conflitto” per poi però arrivare a chiedersi “quale destino possa avere la campagna di Israele a Gaza“.
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