È arrivata la sentenza del giudice di un fatto che si è svolto a Pisa nel 2016, in cui un 70enne era deceduto a causa di un errore commesso dai medici. Era stato ricoverato in ospedale a causa di un nocciolo di susina ingoiato involontariamente ed era deceduto dopo una serie di infezioni post operatorie non curate nel modo giusto. L’errore dei medici fu quello di sbagliare antibiotico.
Per questo è stato deciso di risarcire i familiari, ma non con la somma sperata. Infatti il giudice ha preso in considerazione il fatto che l’uomo fosse un 70enne malato terminale di cancro, perciò la scelta giusta del farmaco avrebbe solo allungato di poco le speranze di vita e non l’avrebbe quindi salvato.
Leggi Anche
Pisa, la vicenda
La vicenda si è svolta il 23 agosto 2016 quando l’uomo si era recato urgentemente nell’ospedale di Pisa, dopo aver ingoiato il nocciolo di susina. Venne così ricoverato nel reparto di chirurgia d’urgenza con forti dolori addominali e operato per occlusione intestinale il 3 settembre. Il 7 settembre i medici avevano notato pus nella ferita, che si era palesato insieme alla febbre alta. Così l’uomo venne operato nuovamente. La situazione però peggiorò e perse la vita il 22 settembre, un mese dopo il ricovero. Per i giudici la causa della morte fu la somministrazione di antibiotici sbagliati.
Sul Corriere della Sera si legge che la corretta scelta dell’antibiotico avrebbe prolungato la vita del paziente ma solo per un breve periodo. Infatti l’uomo aveva una malattia oncologica molto avanzata. Quindi è stato deciso di risarcire i familiari a causa dello sbaglio dei medici, ma con circa 46mila euro, cifra più bassa rispetto a quella che si aspettavano. La motivazione è proprio lo stadio avanzato della malattia.
Dopo una perizia medico-legale il giudice ha infatti capito che l’uomo sarebbe comunque morto in breve anche se i medici avessero azzeccato antibiotico. La sentenza dice che: “Si ritiene comunque che debba essere riconosciuta una perdita di chance di sopravvivenza, riferite alla perdita della possibilità da parte del paziente non di evitare la morte, bensì di veder rallentare l’evoluzione della malattia e quindi di aumentare la durata della sopravvivenza”.
© Riproduzione riservata